Recensione:
Partita a scacchi con i peccati capitali
Giuseppe Culicchia, Tuttolibri - La Stampa
Sono originario di Chicago. Sono andato a New York, ho sposato una ragazza di nome Anne, e vivevo felice e contento quando accadde qualcosa». Comincia così American Purgatorio, primo romanzo di John Haskell, già autore di una raccolta di racconti intitolata Non sono Jackson Pollock assai apprezzata dai critici americani. Il protagonista del libro è Jack, e la sua storia (tradotta come meglio non si potrebbe da Vincenzo Mantovani) si sviluppa in sette capitoli dedicati ciascuno a un peccato capitale. Ma che cos'è successo a Jack? In viaggio con la moglie Anne verso l'abitazione della madre di lei, Jack si è fermato in un autogrill del New Jersey, ed è sceso dall'auto per comprare qualcosa da mangiare. Solo che quando è uscito dall'autogrill, la macchina non c'era più, e con lei Anne. Che fare? Cercarla, naturalmente. E' così che prende il via la partita a scacchi di Jack col suo destino, destinata inevitabilmente a svilupparsi come una detective-story on the road. Jack, che in vita sua ha sempre saputo adattarsi alle circostanze, lì per lì cerca di auto-convincersi che non sia accaduto nulla di irreparabile. Dal New Jersey torna a Brooklyn, nella casa che ha condiviso con Anne. La trova ovviamente vuota. Scopre che perfino le azioni e i gesti più normali gli sono diventati di fatto impossibili. E però si imbatte anche in una cartina attraversata da una linea che va da New York a San Diego. Allora, dato che non sa rassegnarsi all'idea di non ritrovare Anne perché prova ciò che potrebbe provare «un amputato che abbia perso un arto», «sente» ancora la moglie e vorrebbe che gliela riattaccassero, si procura un'altra auto e parte, abbastanza convinto del fatto che la donna sia stata rapita. Ecco allora che come da tradizione l'eroe affronta il viaggio già intrapreso innumerevoli altre volte da altrettanti eroi, dirigendosi verso Ovest, là dove un tempo era il territorio mitico della Frontiera. Ed ecco, come in ogni Odissea e in tutti gli Easy Rider (anche se Haskell per il suo Purgatorio ha scelto di utilizzare come mappa la Commedia dantesca) una serie di incontri con tipi più o meno strambi a scandire le varie tappe del racconto. Certe figure di hippy un po' svitati e di autostoppisti fanatici dello yoga e di ragazze incinte dai capelli bianchi che oltre a occuparsi della reception nei motel leggono il futuro degli automobilisti di passaggio fanno ormai parte del paesaggio americano in molti romanzi. Ma Haskell ha un tocco tutto suo che gli permette, pur adoperando i medesimi ingredienti usati da altri, di sfornare una sorta di on the road esistenziale, allo stesso tempo credibile e misterioso. E' certo un viaggio tragicomico dentro l'America e la sua varia umanità, quello di Jack, e però naturalmente anche dentro di sé. E il rischio per lui sta più nel perdersi nei meandri della propria mente che sulle polverose strade del Kentucky, del Colorado o della California. Mentre insegue il passato, il protagonista viene invitato dai personaggi che incontra a lasciarselo piuttosto alle spalle; e tra la sosta in un pueblo e l'incontro con un insolito poliziotto, Jack prende a risistemare i tasselli della sua esistenza fino a confondere ciò che è stato con ciò che sarebbe potuto essere, di modo che il lettore a un certo punto è costretto a prendere atto di avere a che fare non tanto con un narratore inaffidabile ma con un uomo che vaga alla ricerca disperata di un equilibrio irrimediabilmente perduto. Jack, che crede di ritrovare la moglie quando in realtà è vittima di uno scambio di persona, a un tratto fatica a ricordarsi che cosa desiderasse di preciso dalla vita prima che la sparizione di Anne lo costringesse a fare i conti con se stesso. E nel saper raccontare quest'indeterminatezza, questa confusione che in fondo ci appartiene, sta la grande abilità di Haskell. Il finale di questo romanzo, che è anche un po' un conte philosophique intriso di riflessioni non banali, è sorprendente: non andatevelo a leggere prima del tempo.
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