Recensione:
Chissà cosa avrebbe pensato lo scrittore americano David Foster Wallace quando, durante le ATP Finals di quest’anno (ovvero il torneo che contrappone i migliori otto tennisti della stagione), sul principio del secondo parziale di gioco Roger Federer ha chiuso uno scambio che sembrava vinto dal suo avversario, il coriaceo scozzese Andy Murray, con un rovescio di contro-balzo che nemmeno sulla PlayStation sarebbe pensabile. Molto probabilmente, applicando una sua personalissima categoria lo avrebbe annoverato tra i più spettacolari “Momenti Federer”, ovvero quegli “attimi in cui, mentre guardi il giovane svizzero in azione, ti cade la mascella, strabuzzi gli occhi ed emetti suoni che fanno accorrere la tua consorte dalla stanza accanto per controllare che tutto sia a posto”; di sicuro, sul tappeto dell’avveniristica O2 Arena di Londra, è stata questa la reazione del povero Murray, il quale, guardando la palla scagliata da FedEx lungo la linea destra del campo, non ha potuto che allargare le braccia arrendendosi all’evidenza di qualcosa che superava le facoltà precognitive della sua intelligenza tennistica. A Federer, Wallace, buon ex giocatore juniores (il resoconto della sua carriera sportiva lo si può leggere nel saggio che apre la raccolta di scritti vari Tennis, tv, trigonometria e tornado – edito in Italia da minimum fax) e vero fanatico dello sport della racchetta, ha dedicato le pagine che ora Einaudi ripropone (dopo che già erano apparse, in forma ridotta, sul quotidiano «Repubblica» e per esteso grazie all’editore Casagrande di Bellinzona) corredate da un articolo inedito sugli Open degli Stati Uniti. Un’operazione che, alla luce del recente successo, per la casa torinese, dell’autobiografia di Andre Agassi, sa un po’ di paradossale e furbesco instant-book, del tipo “battere il ferro finché è caldo” (paradossale perché postumo), ma quando ci si addentra nella prosa di Wallace, sia essa quella più esplicitamente narrativa di capolavori come Oblio e La Scopa del sistema o quella ibrida della non-fiction e del memoir (oltre ai saggi citati mi vengono in mente Una cosa divertente che non farò mai più e Il rap spiegato ai bianchi, scritto con Mark Costello), non si può che restare affascinati dal livello di empatia che Wallace instaura con l’oggetto della propria passione, a cui sovrappone una visione del mondo dove, per quanto arbitrari, ogni connessione e ogni corto circuito tra vita personale e sovrastrutture interpretative tengono perfettamente il campo, regolati dalla stessa simmetria invisibile che governa le schermaglie di due campioni – uno dei quali, purtroppo, ha deciso di abbandonare troppo presto le scene, al culmine della carriera, lasciando nei suoi aficionados il ricordo di un talento cristallino e tormentato, non a caso perfetto come la traiettoria metafisica di una pallina di feltro giallo.
recensione di "www.bookdetector.com"
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Il tennis come esperienza religiosa
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