Recensione:
Oltre la porta, l’enigma ungherese della domestica
Forte Luigi, Tuttolibri - La Stampa
La scrittrice ungherese Magda Szabó viene da lontano. Dai tempi del crollo dell’impero asburgico, quando il suo paese guadagnò l'indipendenza, divenne una repubblica e poco dopo con Béla Kun proclamò lo stato dei soviet. Ma a leggere La porta, il bel romanzo pubblicato nell'ottima versione di Bruno Ventavoli, il suo lungo itinerario esistenziale sullo sfondo del '900 si condensa in una dimensione domestica, dissolto in una scrittura densa e puntuale, in un arabesco che cattura con soffice intuizione i disagi dell'anima e i sobbalzi della vita. La Szabó è nata a Debrecen, nell'Est del paese, da una famiglia protestante della buona borghesia, nel 1917, l'anno dopo la morte di Francesco Giuseppe. Ha scritto 40 romanzi, opere teatrali, saggi, sceneggiature, libri per ragazzi. Una piccola biblioteca, di cui in Occidente è arrivato pochissimo. Negli Anni Sessanta Feltrinelli pubblicò L'altra Ester (con la copertina di Bruno Munari), ma poi tutto finì lì. Del resto, a casa sua le cose non andavano meglio. Stalinismo, repressione sovietica, censura, la obbligarono a scrivere per il cassetto. Tra lei e il potere non c'era feeling: perse il suo lavoro presso un ministero di Budapest e finì in una scuola di provincia. Grazie a Hermann Hesse, che per caso lesse un suo libro giunto di nascosto in Occidente, la scrittrice riprese quota alla fine degli Anni Cinquanta. Iniziò a collaborare a giornali stranieri, qualche sua opera venne tradotta, ricevette premi letterari. Poi La porta, a cui fu assegnato il Prix Fémina 2003, ne consacrò il successo. Un romanzo così intenso e vibrante che sembra uscito dalla penna di una matura ma ancor giovane scrittrice. E invece Magda Szabó lo pubblicò a settant'anni nel 1987. Come se tutta la vitalità compressa nel lungo periodo di silenzio coatto fosse balzata fuori d'improvviso, segmentando i ricordi in una vicenda che ha il lontano sapore di un thriller lungo il doloroso crinale della storia ungherese. Attraverso la figura della domestica Emerenc Szeredás che ha passato la propria vita al servizio degli altri, la Szabo scopre un universo dove solitudine e solidarietà, indifferenza e affetto, protervia e docilità si attraggono e respingono in infinite variazioni. Perché questa è la storia di una donna, Emerenc, ma anche l'evocazione di un'anima balzana, imprevedibile, misteriosa. E' da tali profondità che forse fa capolino la lezione di Mauriac, uno degli autori prediletti della Szabó. La quale non si attarda in sfumature psicologiche; ritrae piuttosto i comportamenti, le azioni, spia i sintomi e li affastella in una tensione che si nutre di quella vita quotidiana, che per vent'anni ha in vario modo accomunato Emerenc e Magda. Destini contrapposti, ma indissolubilmente uniti: l'intellettuale e la fantesca, la mente e il braccio. L'una spiazzata dalle stramberie dell'altra, poi sedotta, stregata dalle sue fisime e dal mistero che dietro si cela. Oltre la porta dell'abitazione della domestica nessuno ha mai messo il naso, toccherà alla scrittrice svelare l'enigma in una sorta di rituale che proietta il libro ben oltre la soglia della realtà. Emerenc acquista lentamente la grandezza di un'icona, emerge come creatura mitologica, inossidabile al tempo, «cocciuta come Achille». Ma dietro la figura allampanata e secca, il volto burbero, il carattere bizzoso e imprevedibile si cela un mondo di dolore che la scrittrice percorre come disvelando il mistero stesso della vita e accarezzando teneramente segrete memorie personali. Emerenc ha vissuto pesanti traumi, ma al destino ha sempre risposto con una generosità pari solo al suo attivismo, sottraendo vite alla furia nazista, nascondendo fuggiaschi di qualsiasi fronte politico, incline solo alla bontà. Anche verso gli animali, come i numerosi gatti ch'ella nutre di nascosto, e il cane Viola, affettuosa e originale presenza in tutto il romanzo. Documento autobiografico e testimonianza storica, La porta è il resoconto di una fatale attrazione di cui l'intelligenza artistica non potrà più liberarsi, se non con la catarsi della scrittura. Il corpo a corpo delle due donne, che il marito della scrittrice osserva un po' perplesso, scende in regioni quasi inattingibili, dove amicizia e affetto conoscono l'estasi e il tormento, la menzogna e il tradimento. La «Ballata di Emerenc» potrebbe intitolarsi il romanzo: sullo sfondo di una memoria dove tutto si consuma e sgretola, come i bellissimi mobili custoditi nella stanza più segreta, che si sfarinano a contatto con la luce del giorno, come fantasmi che il presente dilegua.
Le informazioni nella sezione "Su questo libro" possono far riferimento a edizioni diverse di questo titolo.