Recensione:
Una «maestra» di talento (con allievo)
, Tuttolibri - La Stampa
Accabadora. Chirù. Chirù dopo Accabadora. Una sinfonia esoterica o una lingua che ha il respiro, il tramestio, dell’acciottolato. Michela Murgia è un alfabeto del suono. Dove l’acuto tinnito e il grave rombo insieme stanno, come nelle launeddas, remoti strumenti isolani, sardi, come sarda è la voce narratrice. Dopo la Parca, l’«Accabadora», colei che spenge i lumi ormai fiochi della vita, ecco Eleonora, attrice, acrobata del gesto e della parola, nonché una figura maieutica, una «maestra», un Virgilio che mira ad essere «il baricentro dell’equilibrio di qualcun altro», che addestra energie nuove, che contribuisce a «determinare la qualità della creta», che mira - direbbe Piovene meditando sulla «vocazione», e Chirù è una storia di vocazioni - ad accendere «quell’intelligenza che ormai mi sembra priva d’interesse in tutti gli intelligenti di professione».
Quattro allievi hanno scandito l’esistenza di Eleonora. Chirù è in ordine di tempo l’ultimo, probabilmente non avrà eredi. Perché il diaframma fra docente e discente si è infranto, la soglia è stata varcata, il «potere dei sensi», rispetto agli altri poteri, ha preso il sopravvento. Coltivatrice di talenti, Eleonora è depositaria di un reale, tremendo, diritto di vita e di morte (tale la pianista di Somerset Maugham che «condanna» al suicido George, opponendogli: «Nell’arte, la differenza tra il dilettante e il professionista è immensa»). Sì, è, potrebbe essere, un’«Accabadora», la «sirena» di Michela Murgia. Come sa Nin, l’alunno impiccatosi perché - si colpevolizza la sua artefice - «gli ho insegnato l’ambizione, e lui l’ha rivolta in una direzione in cui non c’era niente da ottenere».
Chirù è un violinista. La musica è una chiave per entrare nell’officina, meglio: nell’agone, di Michela Murgia. Che sa cosa significhi combattere, lo spiegare e il raccontare in veste di duellanti. Rievocando Proust: «...quel che noi sentiamo della vita non lo sentiamo sotto forma di idee; e quindi la sua traduzione letteraria, cioè intellettuale, rendendone conto, lo spiega, lo analizza, ma non lo ricrea, come fa invece la musica...». Quando è bello un libro? Avvertiva un’anima settecentesca: «Non ci sono libri belli se non quelli che sono stati a lungo contemplati». Chirù non è una trepida eppure spinata meraviglia, nelle migliori esecuzioni (nelle migliori pagine) una musicale meraviglia? A cominciare dalla visione di Cagliari: «Cagliari ha le fondamenta invertite di una città celeste [...]. Non ha certo bisogno della notte per diventare bella, ma quando cala la sera il buio urbano le toglie la durezza dei contorni, regalandole l’evanescenza delle promesse ancora da deludere». Cagliari specchio di Chirù...
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