Recensione:
Io e lui, si scatena il dio ignoto del sesso
Paolo Di Paolo, Tuttolibri - La Stampa
Alberto Moravia nessuno lo legge, nessuno vuole leggerlo più: per ignoranza, per pregiudizio. Eppure, non c’è forse nessuno ad avere raccontato come lui, fra gli scrittori italiani del Novecento, il sesso nell’adolescenza, il sesso nella vita. Un’infermiera, nel racconto Al dio ignoto, ragiona sulla relazione fra un paziente e il suo pene: «Qualche volta penso che appartenga a un dio ignoto diverso però da quello che le suore portano appeso al collo». Se ti innamorassi, le dice il paziente, «vedresti in faccia il dio ignoto». Nel romanzo postumo La donna leopardo, un uomo eiacula nell’acqua. Una donna, indicando lo sperma, chiede: «E questo?». Risposta: «E questo ero io».
Mi sono tornate in mente queste due scene leggendo l’ultimo romanzo di Marco Missiroli, Atti osceni in luogo privato. Il «dio ignoto» della sessualità si scatena nelle giornate del protagonista, Libero, dalla tarda infanzia all’«adultità». Ed era da parecchio che uno scrittore italiano non raccontava il sesso restando alla larga da tentazioni sociologiche, dalla cronaca nera, da cinquanta e più sfumature di pseudo-trasgressione. Gli ultimi e più visibili esempi di biografie o autobiografie erotiche, fra gli autori maschi, attengono alla mezza e tarda età: Pascale, Piccolo, Starnone, con qualche eccesso di compiacimento nel trattare tradimenti e ossessioni tardive – il sesso come antidoto, involontariamente patetico, alla paura di invecchiare.
Missiroli, anche per età (è del 1981), per fortuna racconta altro: il sesso come slancio, come vitalità, come possibilità. In uno dei suoi molti orgasmi, anche solitari, Libero potrebbe dire, come quel personaggio di Moravia: «E questo ero io». C’è, naturalmente, un rapporto molto stretto fra l’avventura sessuale della nostra vita e la vita stessa. Ma quanto, e in che modo, una cosa definisce l’altra? Quanto la nostra storia sessuale spiega chi siamo? E lo spiega davvero? Un narratore non arriva da queste parti per via filosofica o psicanalitica. Ci arriva attraverso un personaggio, il suo corpo in movimento, una città o più città intorno (in questo caso, Parigi e Milano), una serie di relazioni umane, il tempo che passa, le ragazze che incontra e con cui gode, un padre, una madre, gli amici, e perfino i libri.
Ecco, se c’è qualcosa di intimo che Missiroli presta al suo personaggio, segno zodiacale a parte, sono gli scrittori che ama e che lo hanno formato: Faulkner, Malamud, Buzzati e molti altri. Dimostrando così che anche leggere, come ha scritto qualcuno, è una preferenza sessuale. Nel romanzo, Libero cresce e cresce in lui la libertà di osare, il desiderio e la ricerca di sé stesso nel desiderio: in tutto questo movimento, in questo letterale «scatenarsi» innocenza e colpa si confondono, si cancellano a vicenda; il pudore perde posizioni ma non esclude la timidezza; il coraggio e l’intemperanza non mettono fuori gioco le ansie e le goffaggini. In questo senso, Missiroli accompagna Libero con un inchiostro che anche di fronte al più disinvolto «atto osceno» non perde di vista l’ironia e la tenerezza, contrapposte e unite.
Il Roth di Lamento di Portnoy? Sì, forse, ma senza Freud e con meno angoscia: come dopo aver lasciato diradare ogni ombra novecentesca. Sartre, nel romanzo di Missiroli, muore a pagina 54, e anche questo significa qualcosa. L’ambientazione è novecentesca (tutto comincia negli anni Settanta), ma non lo spirito. Il prepuzio di Libero viene tagliato via, ma per ragioni mediche e non religiose. «Anche la migliore letteratura apparteneva ai circoncisi» scrive beffardo Missiroli. Così, il romanzo acquista una curiosa levità; qualcosa, in fondo, di gioioso e di frivolo, un «allegro» musicale. Che oltretutto rende molto diverso questo libro dai precedenti di Missiroli, più trattenuti, più rarefatti: qui l’uso della prima persona, i paragrafi anche molto brevi, e ovviamente il tema, rendono, non a caso, più libero lo scrittore.
Nel finale c’è il recupero di un equilibrio, una ricomposizione romantica che Missiroli chiama «nascita», ma forse è anche un addio, almeno transitorio. A cosa? Della donna di cui infine si innamora, Libero dice: «La presi quanto potei, e per la prima volta seppi che il corpo era solo un inizio». Non aveva dunque detto Moravia che solo a innamorarsi si vede in faccia il «dio ignoto»?
Product Description:
In 8 (22x14) Brossura illustrata; pp. 249; allo stato di nuovo
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