Recensione:
Le recensioni. Germania: la riunificazione è soltanto una Ford Fiesta. Il romanzo del dopo Muro: Ingo Schulze e la disillusione
Luigi Forte, Tuttolibri - La Stampa
Non so se Ingo Schulze abbia scritto con Semplici storie, egregiamente tradotto da Claudio Groff, il romanzo della riunificazione tedesca. Chi s'aspettava grandi discorsi politici, l'epos della svolta, nostalgie e risentimenti, rimarrà deluso. Qui non c'è un goccio di pedagogia né larvati o palesi moralismi. Christa Wolf e Gunter Grass, che sul problema tedesco hanno detto tempestivamente la loro, visti dalla galassia Schulze sono mondi sfocati nello spazio ristrettissimo di un decennio, cioè dalla storica caduta del Muro e dal crollo della Rdt.
Per arrivare a Altenburg, la cittadina della Turingia fra Lipsia e Zwickau, ombelico geografico del romanzo, dove s'incrociano gli sbiaditi destini di una manciata di personaggi, Schulze è passato per l'America di Raymond Carver magari filtrata da un film di Robert Altman, come Short Cuts. Per questo le sue storie sono asciutte, stringate, abbozzano vite un po' asfittiche, vuoti girotondi senza illusioni, malinconia e grigiore.
Nato a Dresda nel 1962, Schulze ha una certa pratica di racconto minimalista. Nel 1995 esordì infatti con una fortunata raccolta dal titolo 33 attimi di felicità. E anche ora non ha perso il gusto per la miniatura assemblando scene di vita quotidiana come fossero fotogrammi in cui s'avvicendano gli stessi personaggi in una girandola di situazioni che ogni capitolo conclude in sé.
Schulze non ha dubbi: a guardarsi intorno non si scorgono che spezzoni di vita, disillusioni per tanti cittadini, che nel bene e nel male, avevano scommesso su Honecker e le sue promesse. Altro che allegorie politiche, programmi del dopo Muro. Lui, ex cittadino del socialismo reale, punta l'occhio su un tempo alienato e fotografa una provincia dove riunificazione è sinonimo di Ford Fiesta, di birra Beck's in lattine o dell'abbonamento semestrale a una palestra. Non c'è da rallegrarsi, e dunque non resta che inveire contro il capitalismo che, come sempre, l'ha fatta da padrone. Sarà bene o male, non lo so, ma Schulze si astiene invece da tutto: polemiche, rimpianti, e colpisce nel segno. Perché bastano poche tracce di vita tedesca, scorie del diluvio che ha spazzato via ideologie e sogni, storie di normale insofferenza per buttare all'aria l'intera retorica del rinnovamento.
La forma adottata da Schulze è l'esatta metafora di una riunificazione che è spaesamento, vuoto, scollamento esistenziale. Una landa un po' lunare dove c'è gente come Martin Meurer, storico dell'arte che nella nuova Germania ha perso il posto di assistente e finisce vestito da sommozzatore nella zona pedonale a far pubblicità a un ristorante di pesce. E c'è Hanny, direttrice del museo di scienze naturali, licenziata anche lei. E poi Danny, giovane giornalista fatta fuori dal suo aitante direttore Christian Beyer, con cui ha avuto qualche disavventura. Gente solida, preparata, a cui il mondo vacilla ormai sotto i piedi come la stessa idea di realtà che Schulze costruisce per il lettore in un vertiginoso incastro di rapporti, relazioni, accoppiamenti, crisi amorose.
La rivoluzione pacifica, il magico evento della riunificazione sono qui il risultato di una forma narrativa che rende fluido ogni evento, crea vibrazioni sempre più profonde, apre crepe nella coscienza e nella vita della gente. Il miracolo di Schulze, come qualcuno ha detto, è di mostrare tutto senza voler dimostrare niente. E la sua scrittura rapida e tentacolare, i suoi dialoghi stringenti, il ritmo debordante, il capovolgimento di ogni plot narrativo scivolano verso le tensioni di una sceneggiatura, ammiccando al testo teatrale. Nulla si salva sotto il suo bisturi che viviseziona con totale disincanto passato e presente. Non un ex preside e funzionario di partito come Ernst Meurer, responsabile di aver allontanato da scuola, a suo tempo, per ragioni politiche l'insegnante Dieter Schubert, detto Zeus. Che spasso quando i due si rincontrano per caso a Perugia: Zeus scala la facciata del duomo come fosse una guglia alpina e tiene una concione contro il bonzo di partito Ernst. Ma neanche il nuovo politico Frank Holitzschek ne esce fuori bene: è codardo e indifferente di fronte alla violenza.
C'è molta amarezza in queste storie semplici, un orizzonte che non lascia intravedere alcun domani. Dice Danny: "Ci si mette insieme perché altrimenti non si ha un cane di nessuno". Così ruotano qui le coppie, così gira il mondo. Non so se Ingo Schulze abbia scambiato il disagio sociale con un pessimismo raggelante. Non so se abbia scritto il romanzo della riunificazione, ma il racconto che segna la fine delle illusioni, quello sì, gli è riuscito perfettamente. Perché a stare insieme così si ha l'impressione d'essere più divisi di prima.
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