Recensione:
Una Spoon River color rosa sangue
Elena Masuelli, Tuttolibri - La Stampa
Non c’è niente di casuale, o di inventato, nelle storie di Ferite a morte. Chiunque sa che è scandalosamente vero quel fardello di infelicità e di orrore, portato addosso in maniera spesso inconsapevole, ostinatamente negato, giustificato fino all’estremo, che troppe volte diventa lutto. Donne innamorate di un amore sbagliato, che le fa sentire in errore, «colpevoli» di avere provato a inventarsi una vita diversa rispetto a quella decise per loro. Tutti lo sanno, ma solo chi c’è passata dentro, anche solo per poco o per sbaglio, per uno schiaffo, un abuso, un obbligo, lo può raccontare davvero.
Così Serena Dandini, al suo primo libro di narrazione, ha scelto di affrontare un tema delicato, troppo spesso delegato alla morbosità della tv e a titoli frettolosi, e ha ricostruito un mondo femminile popolato di vittime che rievocano il loro calvario e la loro fine. Una «Spoon River» delle donne che non lascia indifferenti, smuove i sentimenti e commuove, facendo piangere e insieme anche sorridere di amarezza. Ci sono dentro tutta l’ironia acuta e il linguaggio tagliente dei suoi precedenti lavori, insieme alle citazioni, all’inizio di ogni capitolo, suggestione, spunto di riflessione e omaggio ai «suoi» autori e alla «sua» musica, Vasco Rossi e Battiato, Virginia Woolf e Alda Merini, Neruda e Brecht.
Il racconto di ognuna per ricordarle tutte, le donne ammazzate dagli uomini, spesso i loro: umiliate «sotto una pioggia di pietre» per avere osato sfuggire a un matrimonio imposto; violentate e finite in un parco per avere inseguito la voglia di correre all’aperto, come fanno i maschi; massacrate di botte senza una ragione, ma fatte sentire responsabili; private dei figli, peggio che uccise, punite per sempre per avere pensato di scappare; inesorabilmente ammalate o condannate, dopo essere state disposte a tutto per mantenere se stesse e le loro famiglie. Per ciascuna un registro linguistico, un accento, tutto un universo di pressioni psicologiche, culturali e famigliari, di indifferenza, di sottovalutazione, tratteggiato in poche frasi. Perché non c’è angolo del mondo, livello culturale o sociale, benessere economico che possa mettere al sicuro, solo che in qualche caso, o in qualche posto, è peggio.
Un panorama reso indelebile dai dati, quelli dell’approfondimento curato, nella seconda parte del libro, con Maura Misti, ricercatrice al Cnr, per non far finta che non esistano il femminicidio, una parola cruda, usata per la prima volta dalla criminologa Diana Russell per indicare la violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna», ma anche la tratta e le sfruttamento, le mutilazioni e gli infanticidi femminili.
Ferite a morte è nato con un evento teatrale, un urlo collettivo di attrici, giornaliste, amiche, fra cui Lella Costa, Lilli Gruber, Caterina Caselli, Malika Ayane, Concita De Gregorio e Geppi Cucciari: sul palco danno voce a queste storie, per sostenere la Convenzione NO More!, le associazioni e i centri antiviolenza. Il viaggio è cominciato a Palermo per ricordare Carmela Petrucci, pugnalata a morte per difendere la sorella dalla furia di un ex fidanzato, il libro è dedicato a lei. E dopo Bologna, Genova e Milano, le donne di Serena Dandini saranno a Firenze il 5 aprile, a Roma l’8 e Torino il 12. Ai piedi le «zapatos rojos», scarpe rosse come quelle dell’artista Elina Chauvet, che stanno facendo il giro del mondo dopo essere partite da Ciudad Juárez, città di frontiera nel nord del Messico dove da vent’anni centinaia di figlie, di madri, di sorelle, vengono rapite, stuprate e assassinate. Ci sono anche loro in Ferite a morte, diventate il simbolo della memoria, della denuncia, della lotta.
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Bross. ed. in-8 con risvolti - pp. 216 - in ottimo stato
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