"Il rumore di una tessitura ti fa socchiudere gli occhi e sorridere, come quando si corre mentre nevica. Il rumore della tessitura non si ferma mai, ed è il canto più antico della nostra città, e ai bambini pratesi fa da ninna nanna". "Storia della mia gente" racconta dell'illusione perduta del benessere diffuso in Italia. Di come sia potuto accadere che i successi della nostra vitalissima piccola industria di provincia, pur capitanata da personaggi incolti e ruspanti sempre sbeffeggiati dal miglior cinema e dalla miglior letteratura, appaiano oggi poco più di un ricordo lontano. Oggi che, sullo sfondo di una decadenza economica forse ormai inevitabile, ai posti di comando si agitano mezze figure d'economisti ispirate solo dall'arroganza intellettuale e politici tremebondi di ogni schieramento, poco più che aspiranti stregoni alle prese con l'immane tornado della globalizzazione. Edoardo Nesi torna con un libro avvincente e appassionato, a metà tra il romanzo e il saggio, l'autobiografia e il trattato economico, e ci racconta, dal centro dell'uragano globale, la sua Prato invasa dai cinesi, cosa si prova a diventare parte della prima generazione di italiani che, da secoli, si ritroveranno a essere più poveri dei propri genitori.
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Fallisce l’erede di un lanificio, si chiude l’età d’oro del nostro tessile. E Prato campa senza gomitolo
Sergio Pent, Tuttolibri - La Stampa
Le statistiche e le percentuali allarmanti non bastano ancora per farci capire che siamo un Paese con le toppe sul didietro. L’ipocrisia del sistema politico seppellisce i problemi sotto uno strato di ottimismo insufficiente a far quadrare i bilanci dell’Italia che annaspa. Ciò che racconta Edoardo Nesi nel suo diario di bordo di ex-industriale tessile costretto a vendere l'azienda di famiglia in seguito a troppe sciagurate scelte politico-economiche, è una realtà accecante, disarmata.
Prato era la capitale del tessuto made in Italy, una solida concretezza che ha fatto l’orgoglio dell’Italia operosa di provincia. Tante strutture industriali sono state svendute, dismesse, offerte in saldo al mercato globale, e l'avvento di operatori cinesi ha soppiantato decine di fabbriche a conduzione spesso familiare che costituivano la nervatura del sistema economico nazionale.
Nesi ora fa solo lo scrittore, ma non riesce a concentrarsi senza remore su qualcosa che prima era un part-time del suo tempo globale. Quello che racconta è il fallimento di un uomo, di una famiglia, di un'epoca. Di una generazione, soprattutto, la prima destinata a essere più povera di quella dei genitori. La storia dell’autore, erede del Lanificio T.O. Nesi& Figli S.p.A., dovrebbe diventare antologia esemplare di questi anni, in cui le ataviche certezze del lavoro duro e del benessere consolidato sono diventate il passaporto per la desertificazione lavorativa, il testamento di un periodo storico inafferrabile. La convinzione di vivere in un eterno presente fatto di contratti incalzanti e lavoro a spron battuto, col sottofondo rassicurante dei macchinari che sfornano tessuti per clientele internazionali: tutto diventa memoria, rimpianto, rabbia verso un sistema di raggiri che hanno devastato la specificità dell’industria minore a vantaggio dei titanici gruppi stranieri.
Nesi ripercorre la storia della sua Prato con il disincanto di uno che ha sbattuto contro il muro di gomma dell’indifferenza. Prato invasa dai cinesi, «un’armata silenziosa e impaurita» che forse è solo l’avanguardia di una vera invasione, mentre i concittadini dell’autore urlano per non diventare un banale dato di fatto della crisi. In questa impasse surreale, in cui il mercato si muove ma gli italiani sono fermi al palo, la ricostruzione di un inganno globale trova parole amare e smarrite, e la storia dello scrittore si incrocia con quella dell’industriale a breve termine che per un certo periodo - «l’età dell’oro» ben ricostruita nell’omonimo romanzo - ha creduto che il mondo non avesse limiti.
Ora Nesi scrive e ricorda, si indigna e ricorda, sfila con uno striscione tra le mani - «Prato non deve chiudere» - e ricorda, senza sapere dove sta andando, ma cercando un passo di rincorsa verso il futuro. Che tristezza.
Uno di quei cazzotti che ogni tanto la letteratura sferra al mondo.
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