Recensione:
Se vai su tacchi troppo alti finisci all’inferno
Masolino D’Amico, Tuttolibri - La Stampa
Realismo magico, echi di García Márquez e scrittura luminosa, checché questo voglia dire, sono gli attributi più frequenti nelle entusiastiche recensioni che in America hanno accolto Ruby, il romanzo di Cynthia Bond, uscito dopo una lunga gestazione e basato su materiale anche vicino alla vita dall’autrice, nipote tra l’altro di una donna assassinata da membri del Ku Klux Klan.
Il denso libro è un susseguirsi di episodi spesso fiabeschi ma raccontati con quel realismo preciso e inquietante che hanno certi incubi, episodi che altalenano nel tempo tra gli anni 1970, quando la protagonista Ruby è adulta e ha un passato, e quelli della prima infanzia di costei, in una piccola comunità del Texas meridionale con una popolazione largamente di colore che i decenni vedono restare immutata nelle sue superstizioni e nella sua rassegnazione a subire le angherie dei bianchi. Questi non sono tuttavia, nella visione della Bond, i nemici principali: le vittime della violenza, che impregna quasi ogni pagina, sono le femmine, e gli oppressori, crudeli fino al parossismo, sono i maschi. Un minimo di pace e di affetto corrisposto si manifesta soltanto in rari, effimeri intermezzi tra persone dello stesso sesso, vedi il periodo di convivenza di Ruby con delle lesbiche, o il rapporto adolescenziale di Ephram col suo amico Chauncey, che poi crescendo diventerà una belva. Ma per mettere ordine in una vicenda che deriva parte del suo fascino dal rivelarsi, come si diceva, per lampi, senza successione cronologica.
La protagonista, una protagonista passiva, sarebbe Ruby, una negretta bellissima che diventa presto sola al mondo, ma soprattutto campeggia la famiglia Jennings, composta da un predicatore, da sua moglie e dai loro figli Celia e Ephram, quest’ultimo coetaneo di Ruby e innamorato di lei fin da bambino. Il predicatore è un genio del male, ha una doppia vita e organizza riti satanici; quando sua moglie lo scopre, la picchia e la fa rinchiudere come pazza. Lei muore in un incendio dell’ospedale psichiatrico, lui finisce linciato, e i suoi figli ne vedono il cadavere impiccato a un albero. Dei due Celia, che ha otto anni più di Ephram, diventa una religiosa mitomane nonché soffocante sostituta madre del fratellino, che cresce suo succube. Quanto a Ruby, quando la piccola ha sei anni il reverendo la affida a una sua amica, Miss Barbara, tenutaria di un bordello, dove la malcapitata subisce violenze inenarrabili. E’ ancora lì quando gravida di otto mesi un cliente per divertimento la prende a pugni e calci, facendole partorire una bambina morta. Poi Ruby trova la forza di scappare e arriva a New York alla ricerca della madre (una nera rossa di capelli e chiara di pelle, che vi aveva fatto sparire le proprie tracce progettando di spacciarsi per bianca). Sempre bella, diventa ora una prostituta sofisticata, e trova un po’ di requie quando si imbatte in donne omosessuali e transessuali, peraltro massacrate volentieri da poliziotti sadici. Poi però apprende della morte della sua unica amica, e commette l’errore di tornare a Liberty. Sono i giorni di Martin Luther King e delle marce di protesta, e l’ondata di repressione la travolge.
All’inizio del romanzo come si diceva ha 42 anni, è diventata una barbona, e vive in una baracca perseguitata dagli spettri dei suoi figli mai vissuti e da un demone da voodoo. Gli uomini della comunità fanno di lei quello che vogliono, chiunque può presentarsi, stuprarla e batterla senza incontrare resistenza. A questo punto però Ephram decide, nella sua mente confusa, di occuparsi di lei, e la viene a cercare. Nel fango potrebbe sbocciare qualcosa di puro tra i due reietti, ma a ciò si oppone, sempre nel segno dell’intolleranza, il fanatismo della sorella di Ephram, che trascina con sé l’indignazione di tutta la comunità...
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