Per vent'anni Eszter ha vissuto in una sorta di sonnambulismo una vita senza pericoli aspettando, senza saperlo, il ritorno di Lajos, il solo uomo che abbia mai amato. Un giorno Lajos torna: Lajos, il bugiardo, il falsificatore, il mascalzone. Lajos che l'ha ingannata sempre, che mente, che aveva detto di amare lei sola e poi aveva sposato sua sorella. Torna nella casa dove Eszter abita con una vecchia parente. Torna a prendersela. Ed Eszter lo sa, sa anche che la storia non è finita, perché non passano gli amori senza speranza.
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MARAI: GLI AMORI INFELICI NON FINISCONO MAI «L’eredità di Eszter»: una nuova sfida dopo «Le braci»
Forte Luigi, Tuttolibri - La Stampa
L'Ungherese Sandor Marai aveva visto crollare troppi mondi e troppe speranze per riuscire a coniugare il futuro nei suoi romanzi. Lui srotola la vita all’indietro dai molti luoghi d’esilio, Parigi, la Germania, l’Italia, gli Stati Uniti, e guarda il presente come un punto terminale, il luogo indifferente di una resa dei conti, l’attimo definitivo e tuttavia inconcludente. Nel bellissimo Le braci (Adelphi 1998) il generale Henrik aspetta per quarantun anni una rivincita sull’amico-nemico Konrad e ci racconta il suo tempo, la sua storia, dietro cui balugina sempre più distintamente la figura enigmatica di una donna: moglie, amante, cara estinta. La vendetta di Henrik si rivela un’illusione e il presente nient’altro che una memoria, il patto testamentario della scrittura. «L’uomo comprende il mondo un po’ alla volta e poi muore», dichiara il generale. Davanti a questa soglia, poco prima dell’oblio, si confessano i personaggi di Marai. Di qui l’atmosfera vespertina, terminale delle sue pagine. Anche L’eredità di Eszter, pubblicato a Budapest, nel 1939, tre anni prima di Le braci e ora proposto nella bella traduzione di Giacomo Bonetti (a cura di Marinella D’Alessandro), è un resoconto, un fascinoso tentativo di decifrare le sottili e drammatiche ambiguità dell’esistenza. Come il generale, Eszter aspetta qualcuno che non vede da moltissimi anni. E’ Lajos, avventuriero, imbonitore, millantatore. Il marito della sorella Vilma, morta da tempo. Un mentitore patentato, un uomo senza carattere, uno che gioca con le passioni e gli esseri umani. Ś, perché Lajos, ha ingannato anche lei, Eszter: diceva d’amarla e l’ha abbandonata al suo destino. E ora, ecco, che, dopo anni, si annuncia e viene a derubarla di quel poco che ancora le resta. Una piccola casa con giardino, dove vive con una vecchia parente. Come in Braci, il romanzo si snoda nel confronto, nella segreta sfida. Ma mentre il generale dilaziona in un crescendo irresistibile l’interrogativo più pressante e doloroso della sua vita, se cioè la moglie e l’amico Konrad, divenuti amanti, lo volessero uccidere, nell’Eredità di Eszter la tensione è suggerita dal rapporto fra verità e menzogna, fra dissipazione e onestà, fra pulsioni segrete e ragionevolezza. Come andrà a finire lo sappiamo fin dall’inizio. Ma perché Eszter, ormai sfiorita e disillusa, ceda al fascino perverso di Lajos accettando di dargli tutto cị che ha, è il sottile incanto di un romanzo esile, ma ricco di impalpabili suggestioni, che si pụ riassumere con le parole di un affettuoso amico della donna, il giudice Tibor: «Gli amori infelici non finiscono mai». Marai conosce il ritmo delle storie, è un vero maestro di suspense. E da grande mitteleuropeo (era nato a Kassa, oggi Kosice, in Slovacchia, nel 1900) porta a totale combustione le schermaglie dei sentimenti, la sostanza stessa della vita che si riaccende in un ultimo, inafferrabile guizzo. E in quell’attimo ogni verità pụ ribaltarsi nel suo contrario. Colui che Eszter attende non è solo un predicatore di menzogne, il guitto mascherato, ma una sorta di ineluttabile destino:il demone che dà senso alla sua vita, pur nella lotta, nel doloroso confronto. Non esistono soluzioni a metà, commenta Eszter, che non ha smesso di amare Lajos, anche nel rifiuto e nello sdegno. Percị occorre portare a termine cị che pareva ormai concluso da tempo. L’amore che non ha trovato sbocchi e soluzioni nella giovinezza, riemerge come un nodo inscindibile, un vincolo fatale. Non un atto di volontà, ma un incontrollabile stato sonnambolico, un’improvvisa leggerezza, solleva Eszter oltre i confini del proprio raziocinio, in una lucidità che ha la trasparenza del sogno. Sembra di essere finiti in un racconto di Schnitzler, dove realtà e incoscienza si scambiano i ruoli, e verità e menzogna finiscono per confondersi. Marai scrive pagine intense sulla dialettica fra bene e male, sulla sottile linea che separa impulsi elementari e dominio della ragione. La sua vita di esiliato, a cui metterà fine con un colpo di pistola nel 1989, gli fece capire quanto precario fosse il rapporto fra quelle grandezze. «Perché resisto nonostante tutto? Cosa mi infonde coraggio, in che confido?», scrisse. I suoi personaggi lo sanno: per rispondere agli inganni dell’esistenza con la voce della chiarezza, con la dignitià e la fermezza di chi non cede e intende andare fino in fondo. Magari per scoprire, come Eszter, che Lajos, un giorno, le aveva scritto un paio di lettere trafugate dalla sorella Vilma, dichiarandole il proprio amore e pregandola di fuggire con lui poco prima del matrimonio. La vita gioca tiri strani e confonde le carte. E, a volte, pụ trasformare un mascalzone e un bugiardo, a cui si è ceduta anche la propria casa, in romantico sognatore. Per quell’attimo essenziale, prima dell’oblio.
Traduzione di Giacomo Bonetti . 8vo pp. 138 Brossura (wrappers) Fioriture alle copertine e ai tagli (Yellowing of the covers and at the edges) Molto Buono (Very Good)
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