Recensione:
Un morto da vendicare sui colli di Firenze
Sergio Pent, Tuttolibri - La Stampa
Un ampio romanzo di transizione: è lecito definire in questi termini il tassello aggiunto da Marco Vichi al mosaico dedicato al suo commissario Franco Bordelli da Firenze. Il risvolto di copertina è ambiguo e titubante quanto le parole che seguiranno: se andassimo a svelare, infatti, ciò che mette in atto Bordelli in questa puntata - La forza del destino - toglieremmo al lettore il piacere - e la sorpresa - di scoprire un angolo oscuro, umano ma certo discutibile in termini etici, del personaggio di Vichi. Diremo soltanto che, da un libro all’altro, l’ormai cinquantasettenne eroe di una provincia italiana trapassata - qui siamo nel 1967 - riveste il ruolo di un amico di famiglia con cui è piacevole, quasi necessario, ritrovarsi. Che dire, dunque? Soffermarsi sul fatto che Bordelli, dopo l’addio doloroso a Eleonora, si è trasferito solo soletto in un ampio casolare fuori città, tra i ritmi della natura e il silenzio rotto dal crepitio dei ciocchi nel camino? Già questo copre in maniera serenamente cassoliana buona parte del romanzo, facendoci voglia di scappare nel passato, o nell’infanzia. Oppure che, per caso, il buon Franco si ritrova a indagare sul finto suicidio del figlio di una contessa sua vicina di colle - un fattaccio risalente al 1953 - salvo poi lasciar cadere nel nulla le sue presunte scoperte? Il lettore si rilassa e non scalpita, accetta la colloquialità di cui Vichi circonda Bordelli e la sua solita combriccola - Rosa, Botta, Diotallevi, più una vecchia fiamma riaccesa, Adele - e, pagina dopo pagina, si rende conto che il giallo da risolvere potrebbe riguardare lo stesso commissario, se un qualche supereroe di C.S.I. transitasse lungo l’Imprunetana degli Anni Sessanta. Un romanzo che riconcilia con il silenzio e lascia la strada aperta ai dubbi. Si presenta così questa quieta - ma anche a suo modo aspra, discutibile - avventura di Bordelli. Si passeggia con la memoria e nella natura, e l’orto che il commissario cerca di mettere in piedi dopo il ritiro dalla polizia diventa il fulcro minimalista della vicenda. Ma è il recente passato quello da tenere d’occhio: l’alluvione appena archiviata, l’impunità degli assassini stupratori del piccolo Giacomo - vedi il superbo Morte a Firenze - la violenza vendicativa sull’inerme Eleonora. E, soprattutto, in pieno incipit, il «suicidio» di uno dei pedofili omicidi, il truce macellaio Livio Panerai. Ecco, partite da qui, e vedrete che il titolo non è affatto enfatico nel delineare ciò che si può inquadrare come atto di giustizia guidato dall’amore, da un’onestà che diventa incapacità di assolvere. Basta questo - e 370 disinvolte pagine interlocutorie - a darci un altro gran bel malloppo «bordelliano» che ci accompagni nell’inverno.
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