Recensione:
Voglio soltanto una vita normale
Genta Luciano, Tuttolibri - La Stampa
Per la serie "la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo", ecco il giovane Walter sul finire dei dorati (e domati?) Anni Ottanta, in una Torino grigio smog. Lui vorrebbe semplicemente una vita normale, ma... Una vita normale per la maggioranza dei suoi coetanei significa soldi & carriera. La pensa così anche suo padre, operaio (probablimente uno di quelli che a Mirafiori, alle ultime elezioni, han votato per lo psichiatra del Berlusca), ogni sera,tra un prosciutto e un quiz del Telemike, gli ripete: "Non fai altro che leggere, i libri son stronzate". Ebbene sì, Walter non appartiene nemmeno a quell'altra parte (minoritaria) di coetanei pseudoalternativi discotecari, un po' lavativi, un po' affumicati. È serissimo. Lui legge tutto il giorno; Hemingway e Fitzgerald, Ginsberg e Bukowsky. Cosa vuol fare da grande? Scrivere. Non è un ribelle, ma nemmeno vuol chiudersi in gabbia, posto fisso e non ci pensi più ("Avrei lavorato sino alla vecchiaia e il giorno della pensione mi sarei accorto di essere malato di cancro"). E le ragazze? Magari. Gli altri si lamentano che non riescono a togliersele di dosso. Lui, a 21 anni, è ancora vergine, tagliato fuori dalla "caccia alla figa". In compenso "attira i froci". Quando trova una sua Beatrice, Porsche e villa in collina, arrapatissima ("mi piacerebbe scoparti"), ovviamente, non gli tira. Già, lui cerca l'Amore. Insomma, Walter, il protagonista del primo romanzo di Giuseppe Culicchia Tutti giù per terra, nel girotondo della vita non conosce le parole chiave, si ritrova sempre fuoritempo e senza meta. Sceglie il servizio civile e finisce al Cane (Centro accoglienza nomadi extracomunitari), fotocopie e moduli, colleghi burocrati e rampanti per un concorso truccato in Comune. Diplomato geometra, si iscrive a filosofia. Impara subito la differenza. Tra quelli che arrivano in Toyota e Cellulare, targati Ralph Laurent, e lui in jeans e scarpe da tennis, in tasca un panino di gorgonzola per pranzo; tra quelli che parlano con l'Abbagnano incorporato e lui che suda in Biblioteca o ai tavolini del caffè Fiorio, inevitabilmente trombato al primo esame dalla classica trappola sull'Estetica trascendentale di Kant. Quanto alla politica, Walter è senza ideologie, mite e tollerante gira con la testa rasata a rischio di essere preso (e menato) per naziskin dai superstiti barbudos guevaristi. Nessuna memoria storica, nessuna Pantera. Lui non si augura proprio un nuovo '68: quelli gridavano ai borghesi "pagherete caro, pagherete tutto", e adesso pagano loro, tutto, con l'American Express. Meglio andarsene a vivere per conto proprio, in un buco col cesso intasato. Senza amici. Due sole persone a credere in lui: una vecchia zia e uno scrittore, Vittorio Tondelli, disposto a leggere i suoi racconti (e a pubblicare quelli di Culicchia tra gli Under 25). Con disincantata leggerezza ("reazione al peso di vivere", diceva Calvino), Tutti giù per terra è un diario falso/vero (qualsiasi riferimento a fatti e persone ecc. ecc., ma il lettore torinese potrà divertirsi in un facile gioco delle maschere, tra baroni rossi e libraie snob). La fantasia e l'ironia aprono di continuo porte sulle piaghe della cronaca: immigrati, barboni, drogati, morti di Aids. Son svanite le lotte, non le differenze di classe. Walter non rinuncia a commuoversi e indignarsi, senza lamenti. Per resistere alla vena d'angoscia della sua diversità, cerca una "reinura": nel gergo dei muratori torinesi, quella scanalatura per il tubo coi fili della luce. E la trova, come Culicchia, nella scrittura. Lì sta lo spiraglio: se lo conosci, la eviti, porca sfiga.
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Anno di edizione: 1999. Copertina flessibile. Da questo libro è stato tratto il film omonimo di Davide Ferrario, protagonista Valerio Mastrandrea.
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