"Mi chiamo Catherine Hervais, sono una psicoterapeuta e la bulimia la conosco fin troppo bene. Ne ho sofferto per quindici anni, l'ho vissuta fino alla nausea, e non solo in senso figurato. Ho visto una marea di medici, nutrizionisti, psichiatri, senza mai osare rivelare che vivevo per mangiare, mangiavo per vomitare, e vomitavo per tornare a mangiare. All'epoca identificavo la bulimia come il problema principale, mentre dalla più tenera età avevo guardato il mondo con occhi spaventati, sentendomi una marziana". Oggi la Hervais ci spiega che il problema risale alla primissima infanzia, quando si dovrebbe esplorare la relazione con l'altro e per qualche ragione qualcuno non ci riesce, avendone avuto, invece, paura. La bulimia-anoressia è vista qui non come un disturbo del comportamento alimentare, bensì come il sintomo di coloro che non sono in contatto con le loro radici; come la tossicomania, l'alcolismo e tutte le patologie legate all'azione, è un tentativo di gestire le proprie paure: ha un potere tranquillizzante... ed è utile per bloccare l'accesso alle proprie emozioni fintanto che l'espressione emotiva resta ingestibile. "Ma l'inconscio è atemporale, ed è pieno di risorse: in un contesto nuovo, con nuove situazioni, a qualunque età una persona può intraprendere il percorso di maturazione psichica che non è potuto avvenire all'inizio della vita".
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«Mi chiamo Catherine Hervais, sono una psicoterapeuta e la bulimia la conosco fin troppo bene. Ne ho sofferto per quindici anni, l’ho vissuta fino alla nausea, e non solo in senso figurato. Ho visto una marea di medici, nutrizionisti, psichiatri, senza mai osare rivelare il mio vero problema. Dicevo loro che la mia vita era un inferno, ma non ne precisavo la natura. Non osavo dire che vivevo per mangiare, mangiavo per vomitare, e vomitavo per tornare a mangiare. All’epoca identificavo la bulimia come il problema principale, mentre dalla più tenera infanzia avevo guardato il mondo con gli occhi spaventati di chi non è fatto per questa vita, sentendomi una marziana, come una che assiste sempre a uno spettacolo senza mai capirci nulla. Perché sono stata una “tossica” del cibo, una cibodipendente, ho voluto capire. Sono entrata in analisi, ho fatto un sacco di quelle terapie “nuove” di provenienza americana, e alla fine ho capito. Meglio, ne sono uscita. Oggi conduco gruppi per cibodipendenti a Parigi, dove vivo; mi baso su una mia terapia intensiva, un po’ simile a quella spesso praticata negli Stati Uniti con gli alcolisti e i tossicodipendenti. Con questo mio libro, ricco di molte testimonianze, voglio gettare nuova luce su cosa siano davvero la bulimia e l’anoressia, come le si possa affrontare, e voglio dare strumenti (comprovati ormai da una ventennale esperienza) in mano a chi ne soffre, ai familiari e ai colleghi terapeuti».
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