Recensione:
Il virus sbarca durante la guerra nel quartiere ebraico sconvolgendo un ragazzo di cuore. Nel piccolo eden arriva la polio
D'Amico Masolino, Tuttolibri - La Stampa
Caldissima, soffocante a Newark l’estate del 1944, con gli echi della guerra in Europa dove sono impegnati i figli maggiori di molte famiglie della comunità ebraica. Tra i pochi rimasti a casa è il ventitreenne Bucky Cantor, buon atleta malgrado la statura ridotta, ma dalla vista troppo debole. Ragazzo di cuore, Bucky non si dà pace per l’esclusione, e si vota quindi a un altro servizio pubblico, come animatore dei giochi dei bambini in questo periodo in cui le scuole sono chiuse. Grazie all’aiuto dei nonni e alla propria tenacia Bucky ha superato gli svantaggi di una famiglia disastrata, madre morta e padre scomparso dopo un vergognoso periodo di carcere per furto. Sobrio e indefesso, si è diplomato e soprattutto si è fatto un’ottima reputazione, che certo gli aprirà buone possibilità nel futuro; ha anche una deliziosa ragazza che lo adora. L’attività coi bambini gli piace, e la svolge con entusiasmo e con grande senso di responsabilità. Ma ecco che questo pur modesto paradiso viene minacciato dal Male. Altrove negli Usa si parla di un’epidemia di poliomielite, il morbo misterioso e incurabile che affligge persino il Presidente, che smentendo il nome di paralisi infantile lo contrasse a quasi quarant’anni. Almeno come concetto, la polio sbarca nei vialetti di Newark con un gruppo di bulletti venuti dai quartieri italiani di New York a sputare sul marciapiedi dove passano i bambini condotti da Bucky, dichiarando sprezzanti di voler portare il contagio anche qui: noi ce l’abbiamo, dovete averlo anche voi. La pretesa è assurda (nessuno sa veramente come si diffonde la polio), ma Bucky reagisce con coraggio, mettendo in fuga i bulletti e poi lavando per terra con acqua e ammoniaca per tranquillizzare chi ha assistito alla scena. Nondimeno, che questa ne sia o meno la causa scatenante, ben presto la malattia si manifesta, e in modo atroce. Due ragazzini affidati alle cure di Bucky muoiono in poche ore; dilagano la paura, il dolore, il sospetto. Bucky non sa come battersi, visita coraggiosamente famiglie orbate che se la prendono con lui come se fosse un ufficiale sanitario, mantiene la disciplina e intrattiene i suoi pupilli. Poi però cede a una tentazione. La sua ragazza, che lavora in un campo estivo, gli procura un ingaggio lì in collina, e non senza patemi Bucky lo accetta, anche se la sua sembra una fuga. Sì, pochi giorni dopo la sua defezione tutto il quartiere ebraico di Newark viene chiuso in quarantena, e i giochi dei bambini nei parchi pubblici sono proibiti; ma i rimorsi non cessano di visitarlo. Il campo estivo è un nuovo paradiso. Non solo c’è la sua innamorata, Bucky può persino riprendere il suo sport prediletto tuffandosi nell’acqua tersa del lago, e trova subito un discepolo ideale. Ma la maledizione lo raggiunge. Ben presto questo discepolo, un ragazzo dotatissimo nello sport, si abbatte colto anche lui dalla polio; e Bucky stesso, sottoposto a un controllo, si rivela portatore, prima sano ma poi infetto anche lui. Benché sopravviva, perde l’uso quasi totale di un braccio e di una gamba, il lavoro che più ama, la ragazza che per punirsi deciderà di non rivedere mai più. Ancora una volta Philip Roth racconta dunque la storia di una brava persona di etnia ebraica, benintenzionata e altruista ma inesorabilmente schiacciata da un destino avverso. Nemesi è un libro di Giobbe senza redenzione finale: fino dalla morte inspiegabile del primo dei suoi ragazzi, che è anche uno studente modello, Bucky decide che un Dio consenziente a queste cose non può esistere; e neanche un dialogo finale col narratore, un ex bambino che lo incontra molti anni dopo e tenta di consolarlo, riesce a dargli un minimo di serenità. Come in altri recenti romanzi brevi di Roth, l’attrattiva principale per quei lettori che ai libri chiedono di essere, se non illusi, almeno non depressi, consiste nella consueta maestria con cui l’autore evoca i luoghi e le atmosfere di quell’America scomparsa, provinciale e ingenua; né manca il fatidico pezzo di bravura con la descrizione di un complesso procedimento artigianale (la fabbricazione dei guanti in Pastorale americana, il taglio delle carni kosher in Indignazione...). Questa volta tocca alla tecnica del lancio del giavellotto, e arriva proprio nell’ultima pagina, per mostrarci il protagonista ai tempi della sua giovinezza felice e perduta per sempre.
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Nemesi
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