Recensione:
Andrej Longo: la morte misteriosa di una studentessa nella città dove non si è all’altezza, dove il fetore trabocca. Ma a Napoli è colpa di nessuno
Bruno Quaranta, Tuttolibri - La Stampa
Come si può scoprire l’assassino sgomitolando il dialetto? Dopo i Dieci racconti d’esordio, meditatamente viscerali, Andrej Longo si cala nella forma romanzo, ma non abbandonando Napoli, di vicolo in basso. Chi ha ucciso Sarah? è il grido o l’interiore, bruciante rovello nei dintorni di Ferragosto, fra la borghese Posillipo e il rione Sanità, dove «ci stanno mani che in un secondo si scambiano denari, pistole, bustine di ascisce o roba da buttarsi dentro alle vene...».
Dominante, fra i ferri del mestiere (lo scrittore e il detective, entrambi sulle orme non di rado rovesciate degli uomini, entrambi sospinti da una «feroce e benedetta ostinazione a conoscere», come direbbe Bufalino); ebbene: dominante è la lingua indigena, a cui Andrej Longo sembra indissolubilmente - e qua e là manieristicamente - ancorato, adottandola tout court («Ma che vulit’ ame? Che sfaccimma aggio fatto?») o facendosene eco («Stava abbattuta perché poco prima si era litigata con il ragazzo...»). Non dovrebbe, chi imbocca il sentiero del giallo (anche costui), accantonare, secondo l’immagine di Raffaele La Capria, «il flauto suadente del dialetto», via via decaduto, fino a modellare la «sceneggiata», «questo contrasto - sosterrà lo scrittore di L’armonia perduta - tra il dialetto e la verità che il dialetto è chiamato a esorcizzare»? Epperò, Chi ha ucciso Sarah? non è una «sceneggiata» (la Napoli di Andrej Longo è naturalmente versus la macchietta), ma un ulteriore requiem per il giallo, un viaggio nelle tenebre, tanto più cupe, efferate, ignobili, quanto, infine, inafferrabili dal codice - come il monello, sgommando, evapora, così scherzando gli inseguitori in divisa. No, in Andrej Longo lingua e storia, la lingua che è il dialetto, si nutrono a vicenda. Così stanno, così cadono, verrebbe da osservare, sempre che la prova contraria non giunga. (L’hanno offerta, tra gli altri, i Rea, Domenico ed Ermanno, Luigi Compagnone, Erri De Luca, Raffaele La Capria, che sentì l’urgenza di liberare il racconto «dall’autoreferenzialità traducendo in lingua “il dialetto della tribù”».)
E dunque: Chi ha ucciso Sarah?, ventenne studentessa di veterinaria, «intorcinata su se stessa, come a una gatta che dormiva», tra le scale e il portone? Forse il suo ragazzo di buona famiglia? O l’ex ragazzo, un poco di buono, Genny Esposito detto il Pianista, «per il vizio che tiene di menare le mani a ogni poco»? O un vicino di casa? O una barbona, come non si stupirebbe il signor Questore - un caprio espiatorio quale che sia pur di non sfigurare, pur di non vedersi levare la sedia di sotto?
Un giovane poliziotto, negli occhi gli occhi sbarrati di Sarah, «spaventati, e neri, uguali a due pezzi di carbone», cerca il bandolo «con il nervoso nelle ossa». Testimone di una Napoli stilisticamente a filo di piombo (la camminata «per giù alla Sanità», vivida, vividissima, incisa, non dipinta: un esempio di «corporeità del rapporto col reale», suonerebbe l’elogio di Compagnone) scivola verso lo smacco («Ho sentito l’aria che non scendeva più nei polmoni, qualcosa da dentro che mi levava il fiato...»). «Chi ha ucciso (o non ha ucciso) Sarah»: non il dialetto, ma una lingua classica dirà la verità, nella città dove «il fetore trabocca», dove invano si attende «’no spettacolo» purificatore, dove «Gesù fate luce» è una vacua preghiera. «Mi pareva che tutto all’improvviso la città si era svegliata dal sonno, ma ho pensato che invece di schiarare continuava lo stesso a fare notte».
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Collana "Fabula". Brossura Editoriale Con Bandelle, 177 Pagine. Esemplare In Perfette Condizioni, Come Nuovo. Spedizione In 24 Ore Dalla Conferma Dell'Ordine.
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