Recensione:
Arsenico (e beffe) alla finlandese
Luigi Forte, Tuttolibri - La Stampa
Ricordate il vecchio esilarante film di Frank Capra Arsenico e vecchi merletti con il suo umorismo macabro e grottesco? Veniva da dire sull’istante: vatti a fidare di due candide vecchiette. Premurose e gentili fino all’inverosimile. E decise a non far soffrire il prossimo eliminandolo anzitempo. Non è improbabile che anche il finlandese Arto Paasilinna se lo sia ricordato scrivendo nella seconda metà degli Anni Ottanta I veleni della dolce Linnea, ora nella traduzione di Helinä Kangas e Antonio Maiorca e con una bella postfazione di Goffredo Fofi.
La sua ottuagenaria ma ancora arzilla Linnea, vedova di un colonnello, manipola un po’ a caso sostanze velenose e certo non per passatempo. Ha deciso di non subire più le angherie di tre mascalzoni guidati dal nipote Kauko, che le sottraggono la pensione mese dopo mese, sfasciano la sua casetta di campagna e uccidono il suo bel micio. Fugge a Helsinki la povera Linnea, da un vecchio amico, ma sa che la gang la tallona. Meglio la morte che altre violenze. Ma Paasilinna le viene in soccorso con la sua fisiologica vocazione al riso e dal momento che ci fa divertire siamo disposti a perdonargli ogni eccentrica esuberanza. Stavolta sono i giovani a rimetterci: lei passa indenne attraverso le più rocambolesche avventure e ogni volta, stupita ma non addolorata, si trova davanti un cadavere. Insomma, il veleno funziona sugli altri, anche se Linnea lo ha preparato per sé.
Inutile dire che in questa storiella piena di situazioni stravaganti e improbabili si ride a ogni pagina. Ma il riso degenera in una beffarda smorfia, perché c’è amarezza e violenza nelle gelide contrade di Paasilinna. Il suo consueto mondo di eroi scalcagnati e sfigati, di emarginati e rancorosi, il suo universo di asociali che richiama, come giustamente ricorda Fofi, la realtà del regista Aki Kaurismäki, si è rattrappito stavolta in un grumo malavitoso, nella efferatezza di tre giovani allo sbando, che pensano a far fuori la vecchia e a impossessarsi della sua eredità. Ma dietro il perfetto meccanismo narrativo, a cui lo scrittore ci ha ormai abituati con i sei romanzi che Iperborea ha pubblicato finora, si cela l’osservatore smaliziato, tutt’altro che indifferente di fronte al male del mondo.
Paasilinna ha scritto con I veleni della dolce Linnea un apologo sul rapporto fra giovani e vecchi, tra due categorie che la società rischia di dimenticare, fra le quali dialogo e solidarietà sono merce ormai rara. La violenza afferra gli uni e gli altri, vittime più che carnefici. Ma il gioco dello scrittore ha una tale brillantezza da farci dimenticare perfino l’inferno che si cela dietro. Se non fosse per il finale in compagnia di Belzebù: lì sono finiti i nostri eroi, non a bruciare per l’eternità, ma a lavorare sodo. Non possiamo che rallegrarci con la vecchia Linnea. Se non c’è più morale nel mondo, che almeno ci sia nell’aldilà, dove Paasilinna ha già prenotato un posto per farci ancora ridere, e stavolta chissà per quanto tempo.
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