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Hachiya, Michihiko Diario di Hiroshima ISBN 13: 9788877106193

Diario di Hiroshima - Brossura

 
9788877106193: Diario di Hiroshima
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"Il diario del medico Michihiko Hachiya comprende 56 giorni a Hiroshima, dal 6 agosto, il giorno della bomba atomica, al 30 settembre 1945. È scritto come un'opera della letteratura giapponese: precisione, delicatezza e responsabilità sono i suoi tratti essenziali. Un medico moderno, che è tanto giapponese da credere irremovibilmente nell'imperatore, anche quando questi annuncia la capitolazione. In questo diario quasi ogni pagina è degna di riflessione. Se ne impara più che da ogni altra descrizione successiva, poiché si è coinvolti nell'inesplicabilità dell'accaduto fin dal principio: tutto è assolutamente inesplicabile." (dallo scritto di Elias Canetti)

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Recensione:
Un lampo, un tuono: così la morte divorò Hiroshima

Giuseppe Culicchia, Tuttolibri - La Stampa

Il 6 agosto 1945 gli americani sganciano la prima bomba atomica su Hiroshima. Il dottor Michihiko Hachiya lavora in un ospedale della città giapponese. La sua abitazione dista poche centinaia di metri dall'ospedale. Il dottor Michihiko Hachiya è tra i pochi a salvarsi dall'esplosione. E da quel giorno decide di scrivere un diario, che terrà fino al 30 settembre. Quello che colpisce maggiormente, nel diario del dottor Hachiya, è la compostezza dell'autore di fronte a un orrore senza precedenti nella Storia. Certo, si tratta del diario di un uomo di scienza. Abituato ad avere a che fare con la morte e col dolore. Ma il dottor Hachiya è giapponese. E naturalmente entrano in gioco, in queste pagine, il suo retaggio culturale, la sua visione del mondo, la sua educazione. E' proprio la compostezza del dottor Hachiya di fronte a quella catastrofe assoluta, a quella vera Apocalisse che è Hiroshima, a permettere al lettore del suo diario di confrontarsi con l'indicibile, leggere l'illeggibile. Sono significative, da questo punto di vista, le parole usate dai sopravvissuti all'esplosione. Come si reagisce dal punto di vista linguistico di fronte a un orrore così assoluto? Come dire ciò che non si può dire? «Coloro che avevano assistito al bombardamento dalla periferia della città - scrive il dottor Hachiya - lo descrivevano con l'espressione pikadon». E una nota al testo ci spiega: «Pika, splendore, luce abbagliante, lampo di luce, bagliore di fulmine. Don: letteralmente “bum”, scoppio rumoroso. Insieme, le due parole, per la popolazione di Hiroshima, assunsero il significato di un'esplosione caratterizzata da un lampo e da uno scoppio: “lampo-tuono”. Quelli che ricordavano solo il lampo, parlavano di pika; quelli che si trovavano abbastanza lontani dall'ipocentro per poter percepire sia la luce abbagliante che il tuono, dicevano pikadon. Un'altra parola usata meno di frequente, ma non meno espressiva, era gembaku, che letteralmente vuol dire “luogo della sofferenza”». Una sofferenza, va di nuovo sottolineato, sopportata con enorme, stupefacente dignità. Hiroshima il 6 agosto 1945 è un paesaggio di morti. Morti negli specchi d'acqua, morti nelle strade, morti sfigurati come nemmeno nei quadri di Bosch. Dopo l'esplosione, i sopravvissuti, in genere feriti, ustionati e nudi (tra gli effetti dell'atomica, registra il dottor Hachiya, c'è anche questo) si guardano attorno storditi, o meglio annichiliti, e poi però cominciano immediatamente a cercare i propri cari, gli amici, i colleghi, i vicini di casa. Quando ne incontrano uno in vita, se ne rallegrano profondamente: ogni volta si tratta di quello che nella nostra lingua definiremmo un miracolo. Pochi giorni, tuttavia, e il dottor Hachiya si rende conto di brancolare nel buio più totale: anche certi suoi colleghi che appaiono sani, e che si impegnano con tutte le loro forze per curare i feriti, a un tratto mostrano i segni del male, peggiorano repentinamente e poi muoiono. Nessuno può dirsi davvero salvo. Tutto è diventato precario. Le cremazioni dei morti procedono a ritmi serrati, e dapprima il dottore è inorridito dall'atteggiamento indifferente degli addetti a tale compito. Eppure di lì a poco cenerà con un amico nella sua stanza d'ospedale proprio nel corso di una cremazione, rilevando che l'odore è simile a quello di «sardine bruciate». Fino a che il Giappone continua la guerra, aleggia anche sui sopravvissuti di Hiroshima la speranza della «guarigione». Poi, in un discorso alla radio, l'Imperatore, che per i suoi sudditi è divino, per la prima volta fa sentire la sua voce al popolo, e annuncia la resa. E in quel momento il crollo è definitivo, irrimediabile. Il diario di Hiroshima è stato pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1955. Com'è noto, gli americani, a posteriori, hanno sempre sostenuto che la decisione di sganciare l'atomica venne presa per ottenere la resa incondizionata del Giappone senza doverlo conquistare strada dopo strada, casa dopo casa, bunker dopo bunker: battaglie sanguinose come quella di Okinawa avevano dimostrato che i giapponesi non si sarebbero mai arresi, e il costo in vite umane dell'invasione del Paese del Sol Levante sarebbe stato troppo alto. C'è invece chi sostiene che tale arma venne usata in Giappone ma non sarebbe mai stata usata in Europa, neppure se fosse già stata disponibile nell'inverno del 1944-1945, quando la Germania nazista ormai sull'orlo del collasso sferrò l'offensiva delle Ardenne: i giapponesi non sono di «razza bianca», e nell'America democratica del 1945 vigeva quella segregazione razziale destinata a durare per altri vent'anni e rotti. Le centinaia di migliaia di civili tedeschi morti nel corso dei bombardamenti effettuati a scopo terroristico dagli anglo-americani nel biennio 1943-1945, di cui solo oggi si torna a parlare dopo un silenzio durato sessant'anni (vedi ad esempio il Sebald di Storia naturale della distruzione pubblicato pochi mesi fa in Italia) mettono forse implicitamente in discussione questa teoria: si pensi all'inferno di Dresda, raccontato dall'americano Kurt Vonnegut in Mattatoio nr. 5. Sia come sia, la Storia la scrivono com'è noto i vincitori: che tutt'ora si rifiutano di permettere che i loro militari vengano giudicati dal Tribunale dell'Aja o da una qualsiasi corte internazionale. Per Hiroshima e dintorni, non ci sarà mai nessuna Norimberga.

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  • EditoreSE
  • Data di pubblicazione2005
  • ISBN 10 8877106190
  • ISBN 13 9788877106193
  • RilegaturaCopertina flessibile
  • Numero di pagine254
  • RedattoreWells Warner
  • Valutazione libreria

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