Dalla quarta di copertina:
Questo percorso, sviluppato a “quattro mani”, corre sicuramente il rischio di essere considerato molto ambizioso, quando non addirittura rivelativo-profetico nelle sue premesse. Ma č un rischio, questo, che abbiamo ponderato a lungo, e che, alla fine, abbiamo deciso di correre. Come sappiamo, č comunque assai rischioso finire negli “artigli del diavolo filosofico” parlando di ontologia... In realtą questo testo č nato da una profonda convinzione sulla quale ci siamo incontrati entrambi, pur essendo psichiatri clinici appartenenti a due distinte generazioni di psicopatologi: che la schizofrenia fosse un pianeta diverso e lontano da tutto il resto della galassia psicotica. Per questo non saremo mai sufficientemente grati a Eugen Bleuer il quale, ormai oltre un secolo fa, isolņ dal mainstream della kraepeliniana dementia praecox proprio il fenomeno schizofrenia, anche se lo fondņ su basi diverse da quelle esposte in questo testo. Questo tentativo di isolare e specificare le fondamenta di un determinato disturbo, come quello schizofrenico, distinguendolo nettamente da tutti gli altri, potrebbe sembrare alquanto velleitario, in assenza di precisi marker biologici e di convalidati e condivisi cluster psicopatologici. Tutto questo appare, invece, meno velleitario, se si segue un’altra logica, che qui cerchiamo di proporre: quella dell’esistenza di precisi marker trascendentali capaci di confermare la presenza e la qualitą di un disturbo come quello schizofrenico. Ovvero una sorta di “organizzatori filosofici di primo rango”, in grado di dare ragione dell’etiopatogenesi di una sindrome che apparirą, poi, sul piano fenomenico-ontico, quantomai variabile, ma cionondimeno riconoscibile da - e riconducibile a - un comune denominatore fenomenologico-ontologico.
Dalla seconda/terza di copertina:
L’opera di Arnaldo e di Gilberto si raccomanda come un livre de chevet, o meglio un “breviario”, per chi abbia pratica di “irriducibile erranza” e sa cosa significhi “trovarsi in un sentiero che, interrompendosi, svia”. Filippo Maria Ferro Chieti la fenomenologia di Arnaldo Ballerini e Gilberto Di Petta risulta preziosa, riesce a esprimere un’opera in senso raro e forte per almeno due motivi: riesce a mostrare nella fenomenologia dell’esperienza psicotica il limite e la veritą dell’esperienza umana, nell’oscuritą della schizofrenia l’azione ininterrotta di una “cosa” oscura che fonda la luce in cui si muove l’animale simbolico, sociale, esistentivo; e riesce proprio perciņ un’altra cosa che č in fondo un’altra faccia della stessa cosa, che la fenomenologia dell’esperienza psicotica apre una via che finirą per strappare la fenomenologia “dei filosofi” alla sua compostezza egologica, per distogliere il trascendentalismo della filosofia moderna dalla sua inclinazione soggettivistica, per forzare tutti e ciascuno a gettare uno sguardo sull’inumano di cui č fatto l’umano. Federico Leoni Verona
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