Voleva davvero buttarsi giù dal ponte la donna trattenuta una mattina da Raimund Gregorius, insegnante svizzero di latino, greco ed ebraico? Gregorius non sa nulla della donna se non che era portoghese. La mattina dopo, complice la scoperta in una libreria antiquaria del libro di un enigmatico scrittore lusitano, l'altrimenti prevedibilissimo professore prende un treno diretto a Lisbona, dove spera di rtintracciare l'autore. Da questo momento decolla una vicenda che costringerà Gregorius a confrontarsi con le contraddizioni degli affetti e gli orrori della Storia in un modo che mai avrebbe potuto immaginare nella sua rassicurante Berna.
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Com’è buffa la fronte del latinista
Luigi Forte, Tuttolibri - La Stampa
Si chiama Pascal Mercier, ma in realtà viene da Berna. Il suo vero nome è Peter Bieri; scrive romanzi, ma la sua professione è un'altra: insegna filosofia alla Freie Universität di Berlino. Insomma, chi e che cos’è? A leggere il suo terzo, impegnativo romanzo, Treno di notte per Lisbona, edito da Mondadori nella traduzione di Elena Broseghini, si direbbe uno che mette in scena pensieri in forma di figure. Un pensatore con la maschera dello scrittore e quindi non certo indifferente al problema dell’identità. Tanto è vero che il suo ultimo protagonista, Raimund Gregorius, detto Mundus, professore di latino in un liceo bernese, abbandona ogni cosa lanciandosi in un'avventura esistenziale che, al di là delle apparenze, coincide con la ricerca di se stesso e del senso della propria vita. Tutto si potevano aspettare colleghi e allievi dall'eruditissimo Mundus, ma non che un bel giorno, senza alcun preavviso, salisse in treno alla volta di Lisbona. E perché poi? Per la sonorità ammaliante di una parola: «Português», pronunciata da una donna che forse stava per gettarsi da un ponte sulla Aar e che lui ha trattenuto. E mentre lui cerca di raccogliere i quaderni scivolati fuori dalla sua borsa sull'asfalto bagnato, lei con un pennarello gli scrive una sfilza di numeri sulla fronte. Buffo e intrigante quest'inizio: fa venire in mente Leo Perutz, gran maestro praghese di thriller visionari e intellettuali. Un esimio matematico che scriveva gialli. Mercier preferisce le idee e le introduce nel suo romanzo in modo insolito: con un testo che Mundus trova per caso in una libreria di Berna. Una raccolta di riflessioni e aforismi di Amadeu Prado, l'alter-ego dello scrittore e il personaggio assente intorno a cui ruota il romanzo.
Il dotto e pedante Gregorius è come folgorato dalle parole di Prado, un aristocratico medico di Lisbona, morto trent'anni prima, che riflette sui grandi temi dell'esistenza come farebbe un Montaigne con un pizzico di malinconia alla Pessoa. La contrapposizione è chiara: Mundus è il riflesso di un'alienazione, di una ritualità che ha scordato la vita e il gioco fantasmagorico della parola che la trasforma in verità. Amadeu è interrogativo, pensiero, voce che scioglie incrostazioni e rituali nella febbricitante ricerca di sé. Due mondi che il romanzo trasforma in un'unica prospettiva, in una sorta di itinerario di formazione. E due piani narrativi: le abbondanti citazioni dal libro di Prado, vera e propria Bibbia per Gregorius ma croce e delizia per il lettore, e - come vera e propria trama - la ricerca di testimonianze sulla vita di Amadeu, l'aggirarsi dell'insegnante nel tempo e nello spazio di una città tenera e intensa.
Gregorius interroga, indaga, rintraccia: gli si dischiudono mondi di solitudine e di grandezza interiore, dimensioni che la parola racchiude come in un grande mistero, verità ingombranti. Come il fatto che Amadeu abbia un tempo salvato la vita a uno spietato aguzzino al servizio di Salazar. Salvo poi entrare nella resistenza e combattere contro la dittatura. C'è anche questo tempo storico nel romanzo, ma calato in singole identità, come nell'intensa figura del vecchio Joãn Eça torturato dal regime, oppure sbalzato nel presente attraverso le sorelle di Amadeu. Sono ritratti in cui Mercier mostra tutto il suo estro di narratore, anche se mediato da un’intelligenza e da una riflessività che trasformano il romanzo in un conte philosophique. Difficile però sottrarsi al fascino delle pagine del diario di Amadeu sul tempo e la morte, sull'insufficienza della parola a segnare gli orizzonti e gli abissi dell'anima, sul destino e le umane congiunture. Difficile anche dimenticare certe figure femminili che attraversano la vita di Amadeu, un moralista appassionato, un grande malinconico «capace di sfiorare il cielo». Grazie al suo fantasma letterario Gregorius ha scoperto però l'essenziale e se lo ripete, tornando a Berna, forse malato e con un futuro incerto: «La vita non è ciò che viviamo, è ciò che ci immaginiamo di vivere». Non c'è più alcun dubbio: nell'ideale dialogo fra Mundus e Amadeu Mercier ha innalzato un monumento alla letteratura. E lo ha fatto mirabilmente con tutto il suo sapere filosofico.
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