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«Scommetto su Pascal» I «Pensieri», l’incompiuto monumento al cristianesimo del filosofo francese: incontro con Carlo Carena che li ha tradotti ed esplorati, un’impresa di sei anni, ma meditata nell’arco di mezzo secolo, dai tempi dell’esistenzialismo cristiano e sartriano, influenzato dal solitario di Port-Royal
Quaranta Bruno, Tuttolibri - La Stampa
Gentiluomo, Carlo Carena lo è fin dall’incipit. «La migliore versione dei Pensieri è uscita nei mesi scorsi, la si deve a Benedetta Papàsogli, per Città Nuova». Noblesse oblige. Avverte: «Un gentiluomo, insegna Pascal, non parla mai di sé». Come scalfirne il riserbo? Forse evocando il monito di Bernanos seminato nel curato di campagna (Bernanos e il curato, figure naturalmente imparentate con l’anima secentesca): che l’umiltà in eccesso è peccato. Ecco i Pensieri a cura - mirabile - di Carlo Carena. Un’impresa di sei anni. Ma «ruminata» in mezzo secolo e più. Dalla stagione universitaria, «dominante - ricorda - l’esistenzialismo, cristiano e sartriano. Entrambi i rami calamitati da Pascal: l’essere e l’esistenza, l’interpretazione drammatica dell’uomo e della sua parabola, la finitudine e l’infinito, lo scacco e la scommessa...». La scommessa è il cardine dell’incompiuto monumento al cristianesimo (negli Anni Sessanta Einaudi accolse la lettura di Paolo Serini). «...si deve scommettere. Non è questione di volontà, siete nella barca. Quale sceglierete dunque? (...). Soppesiamo il guadagno e la perdita, scegliendo croce che Dio esiste. Valutiamo questi due casi: se guadagnate, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete dunque che esiste, senza esitare». E’ il pensiero 682. Ciascun pensiero ostinatamente radiografato. Un occhio al manoscritto originale, uno alle copie (la seconda, in particolare: i Pensieri copiati - e ordinati - dai familiari e, quindi, per molta parte sottratti all’oscurità, all’indecifrabilità), uno alla paleografica fatica di Zacharie Tourneur. Un voyage tra «cancellature, sovrapposizioni, aggiunte, trasposizioni di frasi o di interi blocchi: anche le esitazioni, le sviste e gli errori materiali quando abbiano qualche rilievo e interesse». Una promenade appassionante nelle fonti, esplicite e non («Montaigne, per esempio, onnipresente. Pascal si configura come l’anti-Montaigne. Egualmente spietata la diagnosi della condizione umana, radicalmente diversi i corollari: Montaigne - non può acconsentire Pascal - “ispira indifferenza verso la propria salvezza, senza timore né pentimento”»). «Il mio - vuol chiarire Carlo Carena - è l’esercizio di un dilettante. Non ho competenze speciali su Pascal». Dilettante, beninteso, secondo la definizione di Montale, Il Baretti gobettiano, 1925: «In Italia pochi si figurano quel che può essere un dilettante di grande classe; e metteremo anche questa tra le riprove della nostra scarsa civiltà, non solo letteraria». E’ nato nel 1925, il professore: compirà fra pochi mesi ottant’anni, ma credervi è ostico. Un elisir che lo preserva dal crepuscolo è l’otium litteratum, come lo raccontò Cicerone: «Cosa c’è di più dolce dell’ozio letterario? Alludo a quegli studi per mezzo dei quali arriviamo a conoscere l’infinita natura, e il cielo e la terra e i mari, mentre siamo ancora nel mondo». Qui, sui colli che cingono il lago d’Orta, «fa» cultura l’ultimo solitario di Port-Royal, la Gerusalemme di Pascal. Dopo aver onorato il sapere come insegnante (latino e greco, nel liceo rosminiano di Domodossola) e in Casa Einaudi, in veste via via di redattore, di direttore editoriale, di segretario generale. Nonché di «interprete» dei classici. «L’esordio nei Cinquanta con le Vite parallele di Plutarco, a cui seguirono, fra l’altro, L’elogio della follia di Erasmo, le Confessioni e La città di Dio di Sant’Agostino - nell’orbita di Padre Pellegrino -, le Lettere di San Paolo». E i poeti latini della decadenza, e Cesare, Senofonte, Erodoto, Plauto, Eschilo... «Le Bucoliche», la casa-officina, vigila sul paesaggio dove Carena riconosce i suoi (alcuni, almeno). Amici e maestri e affinità elettive. Da Mario Soldati («Anche Orta - sapeva lo scrittore - servì da modello a Samuel Butler per il paradiso terrestre e per la gente felice del suo Erehwon») a - un lago più in là - Antonio Rosmini («”Le amicizie letterarie di Antonio Rosmini” è il tema della mia tesi di laurea, discussa con Francesco Pastonchi») e Clemente Rebora, «il mio padre spirituale. Negli archivi di Stresa giacciono, sempre in attesa di un’edizione critica, i pensieri del sacerdote-poeta, una miriade di foglietti che inevitabilmente ci rappresentano la macerata sequela pascaliana». Un «cristiano crocifisso», così Carena identifica sia Rebora sia Pascal. «Con la scommessa, l’ulteriore sommo pensiero ruota intorno al divertissement, lo stordimento di sé, una riflessione tanto più attuale se rammentiamo che la caccia e la danza a corte esaurivano o quasi le distrazioni nel Seicento: “L’uomo è palesemente fatto per pensare. E’ tutta la sua dignità e tutto suo pregio, e tutto il suo dovere è di pensare bene (...). Ebbene, a cosa pensa il mondo? Mai a questo, bensì a ballare, a suonare il liuto, a cantare, a comporre versi, a gareggiare nell’anello ecc., a battersi, a diventare re, senza pensare cosa sia essere re, ed essere uomo”». Di qui l’invito a non abbandonare la privata stanza: «Ho spesso detto che tutta l’infelicità degli uomini ha una sola provenienza, ossia di non saper restare tranquilli in una stanza». Carlo Carena, felicemente ancorato nella dimora affollata di amatissime ombre classiche, è in tal senso un pascaliano per antonomasia. Non lo seduce l’uscire nel mondo, mescolarsi fra coloro che offrono da un palco Omero o Parmenide o Heidegger: «Spezzare il pane alle folle è, certo, un’opera egregia. Mai dimenticando, però, la signoria del testo, l’insostituibile a tu per tu». I testi. Le Pensées - scrive Carena nell’introduzione - sono «un testo d’obbligo per chi parta dalle Confessioni e dalla Città di Dio di sant’Agostino e poi passi per l’Elogio della Follia e per Il disprezzo del mondo dell’agostiniano di Rotterdam». Quale il fil rouge che unisce Agostino e Pascal (com’è evidente la parentela con Erasmo, quel «disprezzo»)? «Il problema della grazia e della salvezza. Centrale nella riflessione del dottore di Ippona come a Port-Royal (non a caso si intitola Augustinus lo studio di Giansenio). Grazia sufficiente e grazia efficace. Grazia e libero arbitrio. I sommersi e i salvati. I predestinati. Dispute drammatiche con i gesuiti: si aprano o si riaprano, di Pascal, Le Provinciali». A Port-Royal (il convento fu fondato giusto ottocento anni fa e distrutto nel 1711) Pascal, alle spalle un prodigioso itinerario scientifico, compose l’Abrégé de la vie de Jésus-Christ, il Vangelo dei Vangeli. Vecchio e Nuovo Testamento nei Pensieri... «Profezie e miracoli sono i due argomenti apologetici che fondano la superiorità del Cristianesimo sulle altre religioni secondo Pascal - spiega Carena -. Le profezie appartengono al Vecchio Testamento (Cristo venne annunciato, Maometto no: “E quale segno ha, che non abbia anche qualsiasi uomo che vorrà proclamarsi profeta?”), i miracoli alla nuova Alleanza. A proposito: è il miracolo della Spina - l’occhio malato di una nipote di Pascal guarito al contatto con una reliquia della Corona di Cristo - a ispirare non pochi pensieri». Pascal (1623-1662) riposa a Parigi, accanto a Racine (ancora un vertice di Port-Royal; Port-Royal e Pascal, quante le intelligenze affascinate, da Bo a Vigorelli, a Fortini, Sbarbaro...). Quel Grand Siècle, quella lingua straordinariamente viva, vivida, incorrotta, come rafforzata dal tempo che scorre. «Già Manzoni - suggerisce Carena - elogiava la prosa moderna di Pascal: “Non un vocabolo che sia stato soggetto al cambiamento che altera spesso le lingue vive”». «Questo lavoro - riconosce Carena - non si sarebbe compiuto senza la sollecitudine fraterna di Roberto Cerati (vorrà il presidente dell’Einaudi sollecitarlo a tradurre Port-Royal di Sainte-Beuve?, ndr) e il sostegno convinto di Luciana». Luciana, la signora delle «Bucoliche», ésprit de finesse, porge una composizione di gardenie, fiore, la gardenia, naturaliter giansenista (dura lo spazio di un giorno, simboleggia la nostrana fragilità, precarietà), all’occhiello di un giardino che graziosamente - una sorta di minuetto - scivola verso l’isola di San Giulio, verso il convento di clausura dove, forse, si riverbera un’eco di Mère Angélique, della sua fedeltà: «...finché Dio sarà Dio, io spero in Lui».
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