Nel 1960 Vasilij Grossman porta a compimento "Vita e destino", subito confiscato dal KGB, e va incontro alla sorte del reietto. Alla stessa stagione e allo stesso universo di quel capolavoro, che descrive le manifestazioni del male e la sua sconfitta in nome della "bontà illogica" dei singoli, appartengono i racconti qui radunati. I ricordi e le testimonianze di prima mano del periodo bellico, che ruotano intorno al destino degli ebrei, ispirano le note drammatiche del "Vecchio maestro" e la dichiarazione di fede nella vita e nel "miracolo della libertà" che conclude "La Madonna Sistina". "Fosforo" è una riflessione tristemente autobiografica sull'amicizia misconosciuta, mentre "Riposo eterno", "Mamma", "L'inquilina"," In periferia" fotografano momenti diversi della lunga stagione sovietica, tra gli sconvolgimenti causati dal meccanismo delle repressioni staliniane e la corruzione morale che ne consegue, all'insegna dell'indifferenza e dell'egoismo. "La strada", parabola sul modello tolstojano di Cholstomer, è il racconto delle disavventure di un mulo italiano sulle strade della Russia in guerra: la mostruosità di un mondo in cui Treblinka e il Gulag, nazismo e comunismo gareggiano in efferatezza colpisce in modo ancora più brutale se vista con gli occhi di un animale. E infine "Il bene sia con voi!", dove le note di un viaggio in Armenia nell'autunno del 1961 si traducono in una sorta di luminoso poema.
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Grossman: un viaggio testamentario dell’autore russo di «Vita e destino». In Armenia, tra chi odia e chi esalta Stalin
Gabriella Caramore, Tuttolibri - La Stampa
Quando scrive Il bene sia con voi!, appunti di un viaggio in Armenia, tra il 1962 e il 1963, Vasilij Grossman è già malato. Manca poco più di un anno alla sua morte, che sopraggiungerà il 14 settembre 1964. Quasi tutto era già accaduto nella sua vita. Da scrittore amato e onorato nel suo Paese, coraggioso inviato di guerra sul fronte di Stalingrado, tra i primi a testimoniare degli «inferni» dei lager nazisti, poco alla volta era caduto in disgrazia, man mano che gli si aprivano gli occhi sulla realtà del terrore sovietico, sul tradimento e la menzogna che facevano da collanti alla società staliniana, sulle responsabilità del regime nello sterminio degli ebrei in Unione Sovietica, e man mano che la sua coscienza gli imponeva di dire la verità, a qualunque costo.
Fu censurato, gli fu impedito di scrivere, il manoscritto del suo capolavoro Vita e destino gli fu sequestrato, cancellandone anche le minute e i fogli copiativi. Stroncata la sua vita di scrittore, «sepolto vivo» nella prigione del silenzio, abbandonato da quasi tutti, scrive anche una lettera a Krusciov, chiedendogli di rispettare il disgelo da lui stesso clamorosamente inaugurato al XX Congresso del Pcus. Non avrà risposta, se non una convocazione di Suslov, in cui viene ribadita la censura nei suoi confronti. Tutto sembra finito, dunque. La sua voce strangolata nel silenzio. La sua vita in attesa della morte. Ma ecco che, proprio allora, nasce in lui un nuovo soffio di libertà. Consapevole che i suoi scritti non saranno più pubblicati, finalmente si sente libero di narrare il mondo attraverso lo sguardo della sua coscienza e del suo amore, e di raccontarlo così come lo incontra. «Per quanto grandi siano i grattacieli, per quanto potenti siano i cannoni, per quanto illimitato sia il potere dello Stato e per quanto forti siano gli imperi, tutto ciò non è che fumo, nebbia, e come tale sparirà. Non c’è che una forza che persiste, che si sviluppa e che vive, e questa forza risiede nella libertà». Così si conclude Tutto scorre... che, non a caso, porta a termine proprio in quell’ultimo scorcio di vita.
E un vento di libertà percorre anche questo resoconto di un viaggio compiuto in Armenia nel 1961, che esce ora in italiano, nella magnifica traduzione di Claudia Zonghetti, assieme ad altri struggenti racconti, tra cui l’indimenticabile Madonna di Treblinka, e la dolente epopea di un asino dall’Appennino italiano ai deserti dell’Abissinia, al gelo della steppa russa ("La strada").
Convinto che «il sangue e la sofferenza hanno unito gli armeni e gli ebrei» nella storia, questo resoconto del viaggio in Armenia è un’occasione per fare chiarezza anche dentro se stesso, per guardare finalmente anche dentro le proprie ombre, per scoprire il suo amore sconfinato per la vita, per chiarire le menzogne a cui talvolta si era piegato. Ma soprattutto dà voce alle pietre erose dal tempo e a quelle cesellate dagli uomini, ai colori tenui dell’aria di primavera e a quelli sporchi della miseria. Dà voce alla bellezza di uomini e donne che incrocia e alle loro nascoste bassezze. A chi ha imparato a odiare Stalin, e a chi lo esalta perché ha sconfitto i tedeschi alleati dei turchi nello sterminio degli armeni. Allo sguardo delle pecore condotte al macello e agli assassini dal volto buono e onesto che le sgozzano. Al tepore diffuso da quell’opera d’arte misconosciuta che è la stufa dentro le case dei contadini, e alla squisitezza delle trote del lago Sevan che fanno impallidire la maestosità del paesaggio. Alla elegante e rassicurante banalità dell’alto prelato e alla sconfinata umanità del vecchio contadino, che si rattrista fino alle lacrime perché il mondo non riesce a vivere «secondo bontà, giustizia e senza conflitti», e la cui fede «non esiste al di fuori della vita», ed è tutt’uno con il «boršc da cucinare, il bucato da lavare, e le fascine di legna raccolte nel bosco».
Risuona qui, come anche negli altri racconti, e in pagine mirabili di Vita e destino e di Tutto scorre..., ma forse con ritmo più quieto, dolente e profondo, l’alternanza che vibra nel cuore dell’uomo tra la menzogna e il dono, tra l’indifferenza e la compassione. Ma non è la lotta tra il Bene e il Male a scuotere i pensieri di Grossman. Gli è tremendamente chiaro quanta violenza sia stata compiuta in nome del Bene. E sa quanto Male si annida nelle viscere più segrete delle persone oneste. Piuttosto, lo stupisce e commuove e lo apre a una illogica fiducia la certezza che vi è sempre, da qualche parte, una «bontà insensata», senza ragione, ma «forte più di qualunque menzogna» che arriva a lacerare la crosta dura della sopraffazione e dell’ottusità umana. Nel «mare dell’indifferenza universale» sempre si formerà «una piccola fenditura, una piccola crepa» attraverso la quale respira ancora l’amore. E, in fondo, è attraverso quella «piccola crepa» che alcuni «giusti», in spregio alle minacce di una dittatura cieca e a rischio della propria vita, hanno voluto a tutti i costi salvare le opere di Vasilij Grossman portandole fino a noi, strappandolo così al silenzio e restituendogli la sua libertà.
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